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25 Aprile: un valore attuale? Posizioni a confronto

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Una lettera del nostro affezionato commentatore PB, che pubblichiamo per intero, suggerisce alcune domande che, in calce, affrontiamo con Beppe Pagani, presidente della sezione di Reggio Emilia dell’Anpc (Associazione Nazionale Partigiani Cristiani). Il tema, come dimostra la cronaca nazionale e non solo, è estremamente attuale.

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La lettera di PB: “Il 25 aprile pare essere sempre più divisivo”

A quasi ottant’anni di distanza  da quando ebbe ad aver termine il secondo conflitto mondiale, ci si poteva aspettare che andassero via via a quietarsi, o quantomeno mitigare,  le contrapposizioni che nel nostro Paese segnarono il finire di quella tragica stagione, in una con  l’immediato dopoguerra, ma si ha invece l’impressione di un loro progressivo acuirsi, il che  ha dell’inspiegabile, o comunque difficile da comprendere,  dal momento  che il trascorrere del tempo  porta solitamente a temperare gli antagonismi e le rivalità.

Salvo mie  improbabili dimenticanze, durante tutta la Prima Repubblica, vale a dire un’epoca temporalmente molto più vicina a quel travagliato, controverso, e divisivo passato – e dunque col ricordo più vivo di quei giorni - la ricorrenza del 25 Aprile era vissuta senza particolari “tensioni” ed attriti, nel senso che chi riteneva di non partecipare alla sua  celebrazione   non veniva bollato come automatico simpatizzante del Ventennio, né era chiamato a  giustificare tale sua assenza, e neppure a pronunciarsi  sull’argomento.

Viene da pensare che avesse avuto effetti  abbastanza “distensivi” l’amnistia del  1946, tra i cui  verosimili obiettivi  vi era fors’anche  quello di  ricomporre o  attenuare i contrasti che avevano dilaniato il Paese nei tormentati anni di cui avanti dicevo, nel corso dei  quali si era assistito ad una pluralità di comportamenti che andava possibilmente “sanata” e superata, onde far ripartire il Paese (oltre a quanti  si erano schierati per l’una o altra parte, v’era pure chi aveva ritenuto di non farlo, per l’una o altra ragione, e altre posizioni ancora)

Il discorso di Onna del 2009

Quella fase di sostanziale “convivenza”, seppure  con qualche  ricorrente venatura  polemica, prese a cambiare, se non rammento male, con le elezioni del 1994, che videro l’affermazione del Cavaliere, e andarono a configurarsi come spartiacque, o quasi, tanto che a  rasserenare un  clima  fattosi  “surriscaldato” non   bastò neppure  il discorso di  riconosciuta levatura, e largo apprezzamento,  che ebbe a tenere il Cavaliere ad Onna, nel 2009, e che avrebbe potuto pacificare gli animi, ma fu una “illusione” di breve durata.

Negli anni a seguire, in un progressivo crescendo, il dichiararsi antifascista è sembrato diventare una sorta di “lasciapassare”  per essere legittimati  a governare, o ad interessarsi di politica, nonché una “abilitazione” per celebrare adeguatamente il 25 Aprile, il che allontana di fatto l’eventualità di una auspicabile “memoria condivisa”, e  ciascuna parte continua così a mantenere le proprie  convinzioni, separate e divergenti, con  distanze  che .paiono anzi aumentare, fino a dare l’idea di essere ormai irrecuperabili.

Va preso atto di tale “contesto”, rispettando i differenti punti di vista, ma andrebbero  evitate nondimeno le contraddizioni, vedi il dire che il nostro Paese ha conosciuto solo il fascismo, e di questo soltanto dobbiamo parlare (quale risposta  a chi vorrebbe che all’abiura del Ventennio corrispondesse pari affermazione riguardo al comunismo),  quando sappiamo che l’Europa ha conosciuto i due  regimi, e chi si professa  europeista dovrebbe metterli  sullo stesso piano (pena essere europeisti a metà o a senso unico)

 (P.B.)

L’intervista a Beppe Pagani (Anpc): “Sbagliato per le cariche istituzionali non dichiararsi antifasciste”
Giuseppe Pagani

Affrontiamo alcune tematiche esposte da PB e anche altre oggetto del dibattito attuale con Beppe Pagani, presidente dell'associazione Anpc (Associazione Nazionale Partigiani Cristiani, sezione di Reggio Emilia).

Pagani, si parla molto in questi giorni del 25 aprile, dei suoi valori e del dichiararsi antifascisti. Perché?

Perché il 25 aprile è la festa della Liberazione dal fascismo e dai nazisti che occupavano l’Italia. Mi pare normale che festeggiando il 25 aprile si celebri ciò che ha eliminato e cancellato il fascismo dal nostro Paese. È quindi oggettivo parlare di antifascismo e di lotta alla dittatura, così come si parla di lavoro il giorno del 1° maggio. Mi meraviglio di chi si meraviglia.

La premier Giorgia Meloni, rilevano in queste ore molti media, non si dichiara mai antifascista? Come valuta la cosa?

Essendo lei la presidente del Consiglio di una Repubblica nata dalla Liberazione e dalla lotta dei Partigiani e degli Alleati, commette un errore nel non dichiararsi antifascista – dichiara il presidente della sezione reggiana dell’Anpc -. Gli organi del suo governo derivano tutti da quella battaglia di ottanta anni fa. Diverso sarebbe se Giorgia Meloni, anziché capo del governo, fosse libera cittadina o semplice capo di un partito potrebbe fare quello che vuole, ma nel suo ruolo istituzionale, che deriva dalla Costituzione, è un errore non dichiararsi antifascista.

Il dopoguerra ha portato a scontri tra opposte fazioni, e il lettore PB pare suggerire che questa divisione persista oggi in misura maggiore con un governo di destra. Soprattutto se si considera che per un periodo o per alcuni la Resistenza fu appannaggio di una sola parte politica. È così?

Il dopoguerra è stato un periodo di guerre civili. Ma De Gasperi e Togliatti hanno contribuito a una sorta di pacificazione dei conflitti e degli errori del periodo bellico e post-bellico. Ci furono morti per idee sbagliate, ma essendo morti vanno comunque rispettati. Ci sono state stragi dopo la fine della guerra che sono state lo strascico di quel conflitto civile e ideologico scaturito dopo l’8 settembre. Una parte dei resistenti pensava che con la Liberazione si potesse introdurre un sistema collettivistico comunista nel nostro Paese, un fenomeno storico che poi venne chiamato ‘Resistenza tradita”. Oggi siamo nell’Ottantesimo della Liberazione, credo che in questi anni siamo riusciti a superare queste divisioni. Certo, c’è un governo di destra, ma io dico che la contrapposizione di idee non è mai negativa. Abbiamo avuto in passato contrapposizioni anche più dure se pensiamo all'immediato dopoguerra. È negativa, invece, la contrapposizione se si vanno a dissotterrare vicende contorte, a destra ma anche a sinistra, di quel periodo. Sono cose che dovremmo avere seppellite per sempre. Posso sicuramente dire che la storia ha dimostrato come la Resistenza ai giorni nostri non sia più appannaggio di una sola parte.

Quindi secondo lei con un governo di destra, si presta più attenzione a chi si dichiara fascista o antifascista?

Sbaglia la destra che governa a non accettare il dato oggettivo che la Costituzione del nostro Paese, la sua storia e la sua libertà si basano su una storia antifascista. L’antifascismo è un patrimonio comune anche per chi si dichiara di destra oggi. La lotta resistenziale non è stata di una parte sola, in passato a sinistra però si affermava un primato che, oggi, si è dimostrato non essere tale: come ci ricorda Giorgio Bocca senza le canoniche non sarebbe insorto un popolo nel Centro e Nord Italia.

Oltre al fascismo, c'era un regime comunista di cui si è parlato poco in confronto al fascismo?

Il mio essere democratico mi ha portato ad essere antifascista e anche anticomunista, ma non in riferimento alla sinistra italiana (PCI), bensì ai regimi comunisti nel mondo dove questi si sono concretizzati come una dittatura.

6 COMMENTS

  1. Partiamo da dei punti innegabili: 1) il fascismo è stato una dittatura. 2) il fascismo era brutale con gli oppositori, Amendola, Matteotti, Gramsci, Gobetti, Rosselli e un elenco lunghissimo ne sono la prova. 3) il fascismo ha promulgato le leggi razziali , la pagina più nera della storia d’Italia. 4) il fascismo ha portato l’Italia in una guerra di aggressione ad altri paesi provocando la carneficina che ben conosciamo. L’elenco sarebbe molto lungo ma fermiamoci qui. Gli antifascisti erano monarchici es. il colonnello Cordero di Montezemolo, liberali es. Croce, cristiani es. De Gasperi, socialisti e comunisti. Tantissimi di loro come Pertini, Pajetta e altri avevano passato in carcere dieci o più anni. Essere antifascisti significa essere contro questo orrore, come del resto lo è la nostra Costituzione! Se poi qualcuno contesta che alcuni volevano sostituire una dittatura con un’altra egualmente brutale, ciò è vero ma questo non inficia assolutamente lo spirito antifascista democratico contro tutte le dittature!

    • Firma - Vulzio Abramo Prati
  2. C’è un passaggio in cui Beppe Pagani dice che “la storia ha dimostrato come la Resistenza ai giorni nostri non sia più appannaggio di una sola parte”, il che, salvo averne frainteso le parole, lascia intendere o dà conferma di quanto già si sapeva o supponeva, ossia che quella parte si era intestata tutti i meriti della Liberazione, mettendo di fatto in secondo piano altre componenti e altri protagonisti.

    Senza contare che “alcuni volevano sostituire una dittatura con un’altra egualmente brutale”, come scrive Prati nel suo commento, e pure Pagani fa cenno a tale “scampato pericolo”, e l’insieme di detti fattori ha giocoforza contribuito nel dare un significato politico a questa giornata, resosi piuttosto evidente con
    l’arrivo al Governo del centrodestra (una coincidenza che non può passare inosservata).

    Orbene, se è legittimo che una parte faccia di una ricorrenza una propria bandiera, e un proprio simbolo, conferendole di conseguenza rilevanza politica, a me pare essere altrettanto legittimo che altri, pur riconoscendosi nel valore di tale ricorrenza, non accettino di mettersi sotto quella stessa bandiera, e vogliano celebrare o ricordare in altro modo la medesima circostanza (almeno secondo il mio vedere).

    P.B. 30.04.2024

    • Firma - P.B.
  3. Vista la indubbia delicatezza e portata della materia – in ordine alla quale la Redazione ha opportunamente promosso un confronto di opinioni – mi concedo di ritornarvi sopra con una ulteriore considerazione, tratta dal fatto che i meno giovani di noi hanno avuto modo di sentir raccontare il Ventennio in un un’epoca, come quella del secondo dopoguerra, in cui il ricordo di quei martoriati anni allora vicini nel tempo era ancora molto vivo e pulsante, e hanno potuto pure ascoltare versioni differenti, o financo contrapposte.

    Dalla sommatoria di tali “narrazioni” si è potuto maturare l’idea che, assieme a chi si era schierato in maniera convinta per l’una o altra parte, c’era pure chi lo aveva fatto più tepidamente, per opportunismo o anche per necessità, oppure era rimasto neutrale o equidistante, né fossero mancati quanti approvarono il regime o vi aderirono, salvo dissociarsi all’ultimo momento diventandone casomai accesi critici (e lasciando così il dubbio che con tale zelo volessero accreditarsi presso i vincitori, onde riabilitarsi in fretta).

    Una tale molteplicità di comportamenti (al di là dei torti e delle ragioni, spesso meglio individuabili nel dopo, ossia col senno di poi) non è del resto inconsueta in periodi storici burrascosi quali quelli che ha conosciuto il nostro Paese nella prima metà del Novecento, e che non hanno risparmiato altre parti d’Europa, talché viene ragionevolmente da supporre che il primo tentativo di mettersi alla spalle quella conflittuale e confusa stagione, puntando ad un minimo di “riconciliazione”, sia stata per l’appunto l’amnistia del 1946.

    Immagino si riferisca a detto provvedimento Pagani, quando dice che “De Gasperi e Togliatti hanno contribuito a una sorta di pacificazione dei conflitti e degli errori del periodo bellico e post-bellico”, ma i suoi effetti non hanno resistito al tempo, fors’anche perché (riguardo agli anni della cosiddetta “guerra civile”) sul versante dei “vincitori”, accanto a gesti di nobile sacrificio ed abnegazione, ne sono via via emersi di meno encomiabili, rimasti ignoti o quasi fino a quando altri li hanno raccontati (il che ha riacceso lo scontro).

    Questa pluralità di elementi ha fatto sì, io credo, che di quegli anni – anziché uscirne una immagine che ne rappresentasse tutti gli aspetti, anche quelli meno graditi all’una o altra parte, così da farne patrimonio comune – ne sia uscita una memoria scomposta in quadranti, al cui interno ciascuno vede rappresentato quanto è nelle proprie convinzioni, e visto che anche le nuove generazioni paiono aver ereditato tale rispettiva lettura di quei lontani accadimenti, viene da pensare che le divisioni persisteranno ancora a lungo..

    P.B. 01.05.2024

    • Firma - P.B.
  4. Quando ci sarà la vera liberazione dal fascismo?
    di Marcello Veneziani
    25 Aprile 2024

    Sarà davvero una festa, il 25 aprile, quando avverrà sul serio la Liberazione dal fascismo. Definitiva, irreversibile, generale. A ottant’anni meno uno dalla sua fine, sogno una cosa che ci è stata finora negata: la cessazione di questa gogna permanente, di questo discrimine perenne e manicheo, di questa divisione ideologica dell’umanità in giudicanti e giudicati che ci portiamo addosso da quattro ventenni nel nome di uno, con un accanimento via via crescente con gli anni, anziché decrescente, come sarebbe naturale con la morte dei protagonisti, l’allontanarsi nel tempo e lo stingersi delle passioni. Fino all’assurdo dei finalisti dello Strega che leggono tutti insieme lo squallido monologo antifascista di Scurati contro il governo Meloni, come se fossero un soviet o un Intellettuale collettivo con un solo cervello (bacato). Così usato, l’antifascismo diventa un codice immorale e incivile che antepone all’intelligenza, al valore, al talento una sorta di rito preventivo e discriminatorio di affiliazione, a cui è obbligatorio uniformarsi. Altrimenti sei fuori.
    Il fascismo non è più nella storia e nella realtà da ottant’anni e nessuna forza politica in campo ne rivendica l’eredità; chi ne stabilisce allora la persistenza, chi attribuisce e certifica la definizione di fascista? Lo decide a suo insindacabile giudizio una commissione politico-mediatica-intellettuale permanente, auto-nominatasi per autoacclamazione, che corrisponde alla sinistra. Qui c’è tutta la falsità, l’impostura, l’uso intollerante e paranoico, vessatorio e diffamatorio del fascismo.
    La liberazione dal fascismo, per essere vera e compiuta, comporta naturalmente anche la liberazione dall’antifascismo che ha senso solo in presenza dell’antagonista, e non in assenza o addirittura post mortem.
    Fascismo e antifascismo vanno restituiti alla storia, e anche nel giudizio vanno storicizzati, cioè depoliticizzati, sottratti all’agone della polemica attuale o caricati sulle spalle di posteri che non possono portarne il peso: non ha più senso applicare quel discrimine oggi, come non avrebbe più senso il discrimine tra comunisti e anticomunisti o tra democristiani e antidemocristiani oggi che il comunismo o la Dc non ci sono più, anche se sono rivendicati o rimpianti da taluni. Ma ancora più insensato è che sia una parte a imputare il fascismo a carico dell’altra, senza reciprocità, perché non è ammessa la facoltà inversa. Noi giudici, voi imputati, for ever.
    Sul piano storico vanno distinti gli antifascisti veri che si opposero al regime fascista, come Matteotti, che meritano ogni rispetto e ammirazione, soprattutto se pagarono di persona; dagli antifascisti di comodo, a babbomorto, in pieno dominio antifascista, che si attribuiscono una superiorità etica e morale in suo nome; si arrogano il potere di essere perennemente giudicanti, officianti e sovrastanti nel nome assoluto della religione Antifa.
    Ai loro occhi quelli che vengono accusati di fascismo non solo non hanno diritto di difendersi ma devono prendere gli schiaffi e dar ragione a chi li schiaffeggia, mentre li schiaffeggia. Altrimenti vuol dire che sono rimasti fascisti dentro o sotto la buccia.
    Peraltro è ormai comprovato e assodato che l’accusa di fascismo rivolta al governo non porta alcun profitto politico-elettorale a chi la lancia, ma serve solo a consolidare una cupola di tipo ideologico-mafioso. Questa campagna anacronistica permanente non è infatti condivisa dalla gran maggioranza degli italiani, è un citofono interno al proprio condominio; funziona a circuito chiuso, non raggiunge gli italiani ma coloro che erano già mobilitati sul tema. Rovesciando ancora oggi le colpe del fascismo su chi è al governo non si colpisce il governo in carica, che su questi temi non perde affatto consensi; si fa solo un danno agli italiani che vedono posposti i problemi reali del presente al fittizio feticcio del Passato Proibito. Ma nel nome sacro e intangibile dell’antifascismo le camorre ideologico-letterarie preservano le loro posizioni di potere.
    Il giudizio in merito a quel che accadde un secolo fa non può essere ancora lo spartiacque etnico prima che etico, antropologico oltreché ideologico, tra due mondi intesi come il regno del Bene e il regno del Male. E non può cancellare la preminenza e l’urgenza delle questioni reali del nostro presente. L’opposizione può attaccare il governo in carica sul modo di governare, sulle leggi che ha varato o vorrebbe varare, sul premierato e sull’autonomia differenziata, sulla giustizia sociale e sulla sicurezza, sulla gestione della pubblica amministrazione e sui temi cruciali dell’economia, sul ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo, sulla nostra posizione nelle guerre in corso. I temi non mancano e le fragilità, le incongruenze, le inadeguatezze del governo offrono argomenti reali a chi si oppone. Ma su quei temi la sinistra gioca di rimessa e di rimbalzo, anche perché tutte le cose che sta facendo o non sta facendo la Meloni, le avrebbe fatte o non le avrebbe fatte, se non le ha già fatte a suo tempo, la sinistra al governo. A partire dalla politica estera. L’unica differenza è l’enfasi e la narrazione, ossia la giustificazione ideologica e la fiction che viene imbastita sopra. Al più è la cornice simbolica a differenziarle, non la sostanza. Rispetto a questa sinistra inchiodata al fascismo, perfino i grillini appaiono più seri del Pd & affluenti. Stanno sul pezzo e non sulla reliquia.
    La cosa che più sconforta è che da anni denunciamo questo accanimento terapeutico su un cadavere ridotto in polvere e da anni lo scempio prosegue, imperterrito, anzi crescente; quanto più diventa irreale il tema tanto più cresce il pathos con cui viene guarnito.
    Alla destra di governo invece dico: non è servito a nulla, come vedete, tutto il vostro atto di contrizione, tutti i santini che avete baciato e tutti i riti esorcistici a cui avete partecipato. Dopo la sequela di abiure, condanne, dichiarazioni frementi di antifascismo da parte vostra, l’accusa di fascismo nei vostri confronti prosegue inalterata. Non avete capito che le vostre parole non basteranno mai perché a decidere che siete comunque fascisti non sono le vostre dichiarazioni ma le loro attestazioni. E’ in mano a loro la sentenza, voi non potete far nulla. Perciò, smettetela di stare al loro gioco, tacete sul tema, rifiutatevi di replicare, di giustificarvi, di sostenere gli esami, ribellatevi alla camorra pseudo-intellettuale di sinistra e alla loro malafede, lasciateli parlare. Che si fottano; non hanno titoli per giudicare. Sarete giudicati dagli italiani per quel che fate e farete al governo e non per la vostra irrilevante opinione sul fascismo.

    La Verità – 24 aprile 2024

    Ivaldo Casali

    • Mi domando come ci si possa stupire del fatto che per celebrare la Festa della Liberazione bisogna essere antifascisti. A questo punto, domandiamoci perché a Predappio, alla commemorazione della marcia su Roma, non ci fossero le bandiere rosse e la banda che suona l’Internazionale.
      Una spiegazione in realtà c’è l’avrei: sollevare polemiche politiche ad ogni costo.
      In questi giorni ho letto una frase con la quale sono d’accordo: il 25 Aprile è divisivo solo per i fascisti. E, per quanto mi riguarda, ben venga.

      • Firma - Andrea
    • Diversamente da come sembrerebbe pensarla Andrea, non credo debbano essere considerati nostalgici del Ventennio, o suppergiù, quanti si trovano in disaccordo col modo in cui un versante politico celebra il 25 Aprile, pur riconoscendo da parte loro il significato di tale ricorrenza

      Visto poi che viene evocato Predappio, l’art. XII delle Disposizioni transitorie e finali della nostra Costituzione, limita la eleggibilità dei capi responsabili del regime fascista per non oltre un quinquennio (e da allora, ossia dal gennaio 1948, di anni ne sono trascorsi parecchi di più, oltre 75).

      A leggere il citato disposto costituzionale, non parrebbe proprio che, una volta terminato quel quinquennio, ai suddetti capi responsabili fosse richiesto di dichiararsi antifascisti per potersi candidare, e per ricoprire eventualmente cariche istituzionali, qualora dalle urne fossero usciti eletti .

      Viene abbastanza naturale il pensare che i Padri costituendi volessero por fine ad una stagione di grandi ostilità, facilitando una pacificazione che non dovesse pretendere abiure, e rivolta soprattutto a far ripartire il Paese (da allora lo spirito costituente si è andato forse smorzando).

      P.B. 01.05.2024

      • Firma - P.B.