Riceviamo e pubblichiamo.
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I quotidiani di questi giorni riferiscono che si sarebbe costituito un comitato avverso alla realizzazione della cosiddetta autostrada Cispadana - un asse viario di portata regionale che andrebbe a collegare il casello Reggiolo-Rolo della A22 con la A13 Bologna-Padova in quel di Ferrara - e sarebbe soprattutto la parte romagnola a temere che l’opera possa alterare pesantemente la fisionomia delle loro zone. Stando sempre alle notizie di stampa, i sindaci del tratto reggiano sono di fatto favorevoli, ma chiedono nondimeno interventi di mitigazione ambientale, onde evitare che si ripetano gli errori degli anni '70, quanto all’uso del territorio.
E’ difatti innegabile che a quell’epoca, e non solo, si sia di sovente agito con una certa disinvoltura nella pianificazione territoriale, e ben venga dunque un cambio di rotta, senza pur tuttavia cadere nell’estremo opposto, perché le bellezze paesaggistiche di monte e di piano ancora presenti nel nostro Paese vanno difese e preservate (un tempo erano molto più numerose, prima che la mano dell’uomo, non sempre attenta e rispettosa, ne cambiasse irrimediabilmente il volto).
Peraltro i paesaggi della nostra bassa hanno sempre avuto grandi estimatori a decantarne il fascino e la unicità e la nostra collina-montagna non è certamente da meno e i suoi spazi non vanno dunque “sprecati”; in questa ottica non si capisce ad esempio perché gli amministratori montani, riguardo al canile comprensoriale, parlino sempre di un nuovo insediamento e non abbiano invece esplorato, in primo luogo, la possibilità di utilizzare una struttura già esistente (bastava un avviso pubblico per sapere se e quali potevano essere cedute dai proprietari, salvo ovviamente accertarne poi la rispondenza, anche sotto il profilo economico).
Tralasciando comunque le singole circostanze, il senno di poi porta a domandarsi come mai a quel tempo, appunto gli anni '70 e successivi, non ci si sia accorti, con poche eccezioni, che il processo di antropizzazione del suolo italiano - iniziato col boom economico del secondo dopoguerra, come diretta conseguenza dell’aumento della popolazione e dei nuovi stili di vita - poteva essere attuato in modo meno disordinato o meno “selvaggio”, per usare la terminologia dell’ecologismo più intransigente. Del resto anche a tutt’oggi le associazioni del settore lamentano che ogni anno una grossa fetta del territorio nazionale viene impropriamente sottratta all’impiego agricolo.
Della cattiva gestione del territorio siamo un po’ tutti abituati ad incolpare i nostri governanti, nazionali e locali, ma ad onore del vero siamo anche noi amministrati ad averli talvolta tirati per la giacca, reclamando ad esempio di poter costruire dove sarebbe stato più opportuno non farlo; vi è stata in buona sostanza una responsabilità collettiva. Non un vero e proprio malcostume ma piuttosto una generale negligenza o noncuranza (in sintesi è mancata una coscienza comune riguardo questa importante problematica).
Ho preso lo spunto da una vicenda di carattere ambientale - la strada Cispadana per l’appunto, che potrebbe essere valutata di per se stessa, cioè in modo circoscritto - per allargare il discorso arrivando a dire che in questo come in altri campi del nostro vivere abbiamo forse bisogno di un qualche ripensamento, cioè di comportamenti più consoni e virtuosi, da assumere quali valori stabili della nostra società, a prescindere dalle rispettive appartenenze o simpatie politiche, e quindi da non dover rinegoziare ad ogni piè sospinto (vedi, a mo' di esempio, la centralità della famiglia, il senso della legalità, un sano patriottismo, l’autentico rispetto delle persone, della natura e anche della terra troppo spesso bistrattata da contegni incivili come il gettare lungo le strade bottiglie, lattine, ecc.). Anche la Chiesa, con messaggi inequivoci, insiste da tempo sui principi non patteggiabili, un tema già affrontato da don Sturzo nel suo appello “ai liberi e forti” del 18 gennaio del 1919.
Lo sforzo non è piccolo per una società come la nostra, ormai abbastanza indifferente e individualista, ma così facendo daremo maggiore stabilità e forza al nostro Paese, anche rispetto agli interlocutori internazionali.
Per arrivarvi occorre comunque un momento di pacificazione e di concordia nazionale, a partire dalle forze politiche, e proprio con questo spirito l’Udc va non da adesso invocando un governo di tregua, o di corresponsabilità, e oggi l’esecutivo tecnico guidato dal prof. Monti, visto l’ampio sostegno di cui gode in Parlamento, potrebbe giusto inaugurare un nuovo corso, che ci porti a rinvigorire la coesione sociale e a ridarci sentimenti largamente condivisi, cioè un comune sentire, in modo che, secondo il pensiero di don Sturzo, “al migliore avvenire della nostra Italia dedichiamo ogni attività con fervore d’entusiasmi e con fermezza di illuminati propositi”.
(Robertino Ugolotti)