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“Bindola” di Alberto Bottazzi

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Bindola

Ricordo quel vecchio uomo, vestito di stracci, scendere dallo stretto sentiero di Mont Grand verso la casa dei miei nonni, nella stagione della tarda estate. Barba lunga, incolta, gli occhi lacrimevoli come la pioggerella di quel giorno sul cielo di Vaglie e, nonostante l’aria dimessa, una luce misteriosa che illuminava il suo volto stanco.
Io potevo avere 14/15 anni, mentre per lui l’età non contava, come del-resto il proprio nome, in paese tutti lo conoscevamo con in soprannome di Bindola.
Non possedeva una casa, almeno da noi, si diceva provenisse dalla Garfagnana, da uno dei piccoli paesi della valle del Serchio. Viveva di elemosina e carità, spostandosi di paese in paese e dormendo in alloggi di fortuna: poteva essere un fienile, un capanno, una legnaia o una stalla. Presumo che quella notte avesse dormito nel capanno dei miei nonni insieme alla capra di famiglia.
La sua schiena era talmente curva da non permettergli una buona visuale della strada davanti a sé ed allora camminava piano piano, così da non perdere mai di vista la punta degli scarponi. Il suo lungo bastone, compagno di vita, imprimeva all’incedere del suo passo un'aria sofferente e dolorosa. Lo accompagnavano nel suo peregrinare una piccola fisarmonica ed un cane randagio, più magro del padrone, raccattato chissà dove e chissà quando, anche lui azzoppato dal destino.
Il dimenare maldestro della fisarmonica non aveva alcun senso, solo tasti strimpellati con le dita rattrappite dall'artrite in una situazione alquanto penosa ed imbarazzante che suscitava pietà e commiserazione.
Bindola qualche tozzo di pane o formaggio lo rimediava sempre e mentre il cane si trastullava con le croste, ringraziava con un cenno della mano per poi continuare, barcollando, la strada martoriata della sua vita.
Di porta in porta, di piazza in piazza, arrivò la stagione dell'autunno.
Quell'anno la fine di settembre portò un freddo molto intenso ed inatteso nei paesi del crinale e nevicate copiose ad alta quota.
Al Passo di Pradarena la neve copriva ogni cosa di parecchi metri, tanto che prato e strada non erano più visibili al viandante.
Il destino volle che “Bindola”, al rientro verso la Garfagnana, dopo giorni e giorni di cammino, incappasse in questo ciclone della natura, rimanendo travolto da una bufera di neve mai vista prima. Con le poche forze rimaste combatté le folate della bufera, la tramontana impietosa che sconquassava le sue povere ossa, finché, stremato e sofferente, si arrese al fato accasciandosi nella tormenta.
Ci lasciò così Bindola, mortificato dal suo stesso destino: solo, congelato, lontano da tutti e aiutato da nessuno, trascinando con sé la sua miseria, il cane randagio e la sua piccola fisarmonica.
Lo ritrovarono la primavera dell'anno successivo, integro nel corpo e nella povertà, nessuno si era accorto della sua mancanza. Aveva ancora gli stracci grigi addosso, il suo lungo bastone tra le mani, gli occhi buoni spalancati al cielo e accanto a lui il cane e la sua fedele compagna... la fisarmonica.

Alberto Bottazzi
Da: “IL MIO SPAZIO ED OLTRE”

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