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Don Paul: “Riflessioni dalla Lectio Divina”

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don Paul Poku

Nella prima lettura Isaia nomina la terra di Zabulon e la terra di Neftali. Questi erano territori di due tribù sorelle che però non andavano d’accordo e simboleggiano la divisione che ha portato odio e invidia all’interno di Israele. Ma il profeta annuncia una speranza («Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce»: verrà chi potrà riunire il popolo di Dio, che ha lasciato crescere le tenebre al suo interno, e che permetterà anche ai pagani di entrare in questa comunità rinnovata.

Anche la seconda lettura riprende il tema della divisione: i discepoli cui si rivolge Paolo creano distinzioni in base a coloro da cui hanno ricevuto l’annuncio del Vangelo. Ma Paolo li rimprovera: nessuno annuncia sé stesso, ma tutti son fratelli perché tutti hanno ricevuto la fede in nome della croce di Cristo.
Il vangelo descrive i primi passi della missione messianica di Gesù, che alla notizia dell’arresto del Battista si sposta a Cafarnao di Galilea. Quella di Gesù è una scelta fortemente simbolica: non si reca al Tempio di Gerusalemme (centro del culto ebraico), ma in una zona influenzata dalla cultura pagana, intendendo così portare il suo annuncio agli uomini più ai margini. È lui la grande luce che Isaia ha profetizzato nella prima lettura: in lui abbiamo la grazia di ricreare la nostra unità. Inoltre, l’evangelista chiama il lago di Genezaret «mare» per accostare Gesù alla figura di Mosè: come questi aveva condotto Israele al mar Rosso per portarlo alla Terra promessa, così Gesù ne completerà la missione guidando gli uomini verso la salvezza nella Terra promessa spirituale.

Gesù inizia il suo ministero con una chiamata alla conversione («Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino»), un cambiamento di mentalità radicale che si rispecchi anche e soprattutto nelle azioni. In più Gesù si sceglie i suoi discepoli agendo in controtendenza rispetto all’epoca (solitamente erano i discepoli a scegliersi il maestro). I primi chiamati sono i fratelli Simone ed Andrea, a cui Gesù chiede di essere seguito fino in fondo. Rispondere a questa chiamata implica un cambiamento di vita, così come richiesto dal suo invito vocazionale: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Per capire bene questa espressione va ricordato che nell’immaginario ebraico di allora il mare era simbolo del peccato e della morte spirituale (avendo inghiottito sia l’umanità peccatrice al tempo del diluvio universale, sia i soldati egiziani che volevano riportare in schiavitù Israele).

Rendere i discepoli “pescatori di uomini” voleva perciò dire chiamarli a portare tutti i peccatori alla salvezza, “pescarli fuori” dalle tenebre verso la luce di Cristo. Curiosamente i due fratelli non esprimono dubbi davanti all’invito di Gesù, ma «subito lasciarono le reti e lo seguirono»: di fronte al regno di Dio non dobbiamo farci molte domande, ma dobbiamo affidarci alla sua chiamata.
Altri discepoli sono individuati in un’altra coppia di fratelli pescatori, Giacomo e Giovanni, che alla chiamata di Gesù abbandonano il loro padre Zebedeo. La figura del padre è qui il simbolo delle tradizioni a cui i due fratelli erano legati: accettare la chiamata di Gesù comporta l’abbandono della vecchia mentalità per avere un “padre” nuovo, ossia per diventare figli di Dio in Gesù.

Una volta chiamati i primi discepoli, Gesù «percorreva tutta la Galilea»: la fede in Cristo non è ferma, ma è un cammino nell’adempimento del suo compito attraverso l’annuncio, l’insegnamento e la guarigione. Facciamoci anche noi discepoli di Gesù e portiamo la sua salvezza a tutti i fratelli che incontriamo nella nostra vita mediante l’evangelizzazione, l‘insegnamento della Parola e la cura dei malati.

Buona domenica