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Avvicinarsi alla disabilità

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Pubblichiamo un intervento di Alma Zanni, presidente dell'associazione Fa.Ce. famiglie cerebrolesi, sezione di Reggio Emilia.

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Estate, tempo di feste, di musica, di spettacoli. Qualcuno in particolare merita di essere citato ed è lo spettacolo “La Coccorella”, allestito dalla Compagnia dei Coccodè, gruppo di ragazzi disabili della montagna. Un progetto ambizioso fino ad ora mai realizzato in montagna, pensato e allestito dalle insegnanti Francesca Bianchi e Marina Coli e attuato con l’aiuto di giovani e attivissimi volontari. La “prima” a Casina nel corso della festa di chiusura del Centro Diurno Disabili “Arcobaleno”, replica alla festa del Centro Diurno “Rosa dei Venti” di Castelnovo ne’ Monti. Grandissima emozione per l’intera compagnia, ma altrettanta emozione hanno suscitato negli spettatori, e non solo nei genitori e familiari dei ragazzi.

Tutto questo, bellissimo, mi suscita una serie di riflessioni su quanto conosciamo l’handicap e le sue “abilità”. Noi stessi genitori, che pensiamo di conoscere a fondo i nostri figli “diversi” con i quali condividiamo ogni attimo, siamo rimasti colpiti da “abilità” fino ad oggi sconosciute: la sicurezza nell’affrontare una platea molto grande; la capacità di reggere l’attenzione per l’intera mezz'ora della recita; la concentrazione sui tempi musicali, recitativi, gestuali; la tranquillità nell’indossare costumi non certamente comodi (scatoloni da abiti!). Forse noi “normodotati” non saremmo riusciti. Ecco dunque la domanda: ma è davvero così difficile scoprire la disabilità?

Mi verrebbe da dire sì, visto che neppure i genitori conoscono a fondo i loro figli disabili, ma forse è così per ogni genitore del mondo, è così per la “normalità”. Dunque qual è la chiave per scoprire la disabilità? Credo passi attraverso la “normalità”, perché ognuno di noi è disabile in qualcosa. Nessuno sa fare tutto, anche a scuola abbiamo ragazzi bravissimi in alcune materie, un po’ meno in altre; ci sono ottime ricamatrici che non sanno lavorare a maglia; bravissimi falegnami che non riescono a riparare una spina. Queste “disabilità” certo non le classifichiamo “handicap”.

Forse allora è la parola che fa paura, che allontana? Perché “handicap” è ancora l’eccezione. La diffusione della disabilità però è talmente elevata che risulta ipocrita chi ancora la considera un fatto eccezionale. In una società dove la diffidenza verso il diverso è diffusa, è difficile avvicinare l’handicappato, diverso per eccellenza. Ho scritto “handicappato” intenzionalmente, perché è un termine forte che si cerca in tutti i modi di addolcire: disabili, diversamente abili, ecc…, ma non è un termine che cambia lo stato delle cose, non è addolcendolo che si abbattono le barriere. Le parole non devono fare paura, è necessario guardare oltre.

I nostri figli disabili sono prima di tutto persone. Non sono solo patologie, ma hanno loro valori e potenzialità.
Dobbiamo saper cogliere questi valori, dobbiamo conoscere i loro linguaggi, dobbiamo imparare a valorizzarli.

Amore e non carità. Amore e non beneficenza. Amore e nient'altro.

L'amore e l'amicizia sincera sono gli strumenti per entrare nel mondo dei nostri figli disabili. Non il dover fare, ma il piacere di incontrarsi, di conoscersi.
Perché si può essere/sentirsi soli anche in mezzo a tante persone.

Questa sensazione compare sempre nelle tante storie di famiglie con disabilità. Si è soli perché non si è capiti. Lo si è perché chi ti è attorno non capisce. Cercare lo scambio, dare ma anche ricevere, trovare i canali di comunicazione: è una cosa che necessita non solo di tecniche, ma anche di un "avvicinamento" che nasce da dentro.

Riscoprire le positività del disabile è un passo indispensabile per avere un corretto rapporto con lui. Parlare di integrazione sociale non significa parlare di sogni irraggiungibili. Significa far riferimento ad una società che pensa ai suoi cittadini come ad un insieme di persone differenti con diverse capacità e problemi. Una società in grado di offrire opportunità e benessere a tutti, con pari dignità.

A volte ci si ferma a osservare, ma non sempre lo sguardo sa cogliere ciò che vi è oltre. Una carrozzina, una bocca che non vuole restare chiusa, uno sguardo assente possono anche spaventare. Occorre molto coraggio per guardare oltre?

(Alma, mamma di Davide, disabile)