E’ uscito il secondo volume delle riflessioni di don Paul, già parroco di Vetto, sulle letture delle domeniche dell’anno “A”

Nella prima lettura di questa domenica il profeta Eliseo c’insegna che la fede autentica permette a tutti di essere sfamati: dobbiamo essere pronti a condividere ciò che abbiamo con chi ha più bisogno, con carità e con fede in Dio; sarà il Signore a fare in modo che ognuno abbia il necessario per la sua vita.

Nella seconda lettura Paolo esorta i fratelli di Efeso a mettere in pratica comportamenti conformi alla chiamata che hanno ricevuto, chiamata che porterà tutti i cristiani all’unità nella fede nell’unico Padre.

Il brano del vangelo è incentrato su un avvenimento molto simile a quello descritto dalla prima lettura; dobbiamo però stare attenti a non prenderlo alla lettera come se fosse una cronaca, ma a intendere il suo profondo significato teologico.
Ad esempio, sappiamo già leggere nel mare l’immagine simbolica del male, che Gesù attraversa come se fosse un nuovo Mosè, così come possiamo vedere nel monte dove lui si siede il luogo dell’incontro tra l’uomo e il divino.
Anche il numero dei presenti («circa cinquemila uomini») è parlante, perché mentre il cinque era legato al popolo d’Israele, il mille rappresentava tutto il mondo: il numero totale è dunque immagine dell’umanità intera.
Questa folla si ritrova dall’altra parte del mare (ovvero liberata dalla schiavitù del male) ma senza cibo a sufficienza. Gesù chiede quindi l’opinione dell’apostolo Filippo (uno di coloro a cui affiderà il suo insegnamento), il quale però risponde lamentando la penuria di soldi per acquistare cibo per tutti. Ciò ci insegna che se restiamo in un’ottica meramente economica non saremo mai in grado di risolvere il problema della fame: anche se ci sono soldi a sufficienza, la ricchezza genera egoismo e non condivisione (lo vediamo anche oggi nella nostra società).
In aiuto di Filippo arriva Andrea, che richiama l’attenzione su «un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci»: questo bambino è l’esempio di un cuore puro, che non tiene nulla per se stesso ed è pronto a donare tutto quello che ha per il bene di tutti, senza alcun calcolo interessato. Gesù risponde alla generosità di questo bambino facendo preparare la folla, con un verbo («Fateli sedere») che nel testo originale greco indica la posizione dei padroni che si sdraiavano pronti per essere serviti dagli schiavi: i presenti non vengono trattati come fossero dei poveri, ma anzi allo stesso modo in cui all’epoca si trattavano i signori.
Successivamente Cristo «prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano». Il significato del gesto di benedizione sta nel presentare il pane agli occhi di Dio, che può guidare la sua distribuzione e condivisione secondo la logica divina. Ecco che grazie alla cura di Dio i pochi pani e pesci possono sfamare una grande folla; ne avanza perfino, e Gesù si premura che la rimanenza sia raccolta e conservata. Il bene di Dio che è avanzato può essere infatti distribuito ad altri fratelli nel bisogno, così che nessuno possa mancare di godere della grazia del Padre.
Il vangelo termina con un fatto apparentemente curioso: la folla dei presenti, visto l’avvenimento straordinario da cui erano appena stati toccati, erano intenzionati a incoronare Gesù re; ma lui «si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo».
La ragione della fuga di Gesù sta nel fraintendimento del suo gesto da parte della folla: esso infatti non voleva essere un miracolo, ma un insegnamento per tutti. Sbagliamo anche noi oggi a riferirci a questo fatto come “la moltiplicazione dei pani”, fermandoci alla sua dimensione straordinaria. Al contrario, dobbiamo imparare da questo episodio ad essere in grado di condividere con cuore sincero il poco che abbiamo, confidando nell’azione di Dio.
Impariamo quindi a leggere oltre l’apparenza, per poter comprendere appieno il progetto di Dio per noi e metterlo in pratica come discepoli di Cristo.